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Schumann con tutta quella calma.
Così piatto da farmi venire voglia di gridare - infrangere tutte le note contro la barriera del suono, lacerare ogni tipo di protezione ed affilare la lama per trafiggere il cuore di una melodia spietata.
In fin dei conti si tratta solo di una combinazione di pallini bianchi e neri, impilarli nelle corde di un pentagramma alla stregua del più elementare degli abachi: fare i conti con la risonanza dei numeri - addizioni in negativo di radici irrazionali.

I minuti scorrono privi di pudore, ed io fatico a ricordare quanto tempo è passato dal momento in cui sono tornata a casa - Mr Clean mi fissa dall'altra parte del salotto, cadavere di memorie troppo fresche per essere seppellite.

Ha lampeggiato solo un paio di volte, prima di spegnersi definitivamente: ha buttato fuori tutto quello che aveva da dire, cercato chi sapeva di non poter trovare dietro una scrivania vuota, e poi ha deciso che non c'era più niente da pulire - spazzole che non possono lucidare i peccati di un'anima martoriata.

« Forse non dovresti tenerla. »
« ... »
« La potresti far adottare, ci sono un sacco di famiglie che sarebbero disposte. »
« .. »
« .. The fuck,Virginie, ma mi stai almeno ascoltando? »


'Bastienne rischia di perdere la pazienza e lo sento da come trema, ma ci sono altre voci a riempirmi i timpani - la sua è troppo distante, e comunque non è quella che vorrei sentire: continua a camminare avanti ed indietro - scavalcare scatolette di medicinali presi con il giusto dosaggio, un misto di responsabilità e pressione che non ho la certezza di potermi addossare.

Mr Clean continua a fissarmi senza pietà e Bastienne alza gli occhi al cielo, si butta sul divano lasciando che l'unico rumore, adesso, sia quello della pioggia che sbatte sulle finestre - o quello sincrono di mitrale e tricuspide, che collaborano per aprirsi un varco all'altezza del seno.
Ho gli occhi troppo pieni di cose - ricordi, immagini.

«  Pensi di poter passarmi sull'holodeck il contenuto di alcuni nastri? »
« Che nastri? »
« Quelli di quel drone. »
« .. che devi farci dei nastri di un robot per le pulizie? »
« This is none of your business. »


'Bastienne sbuffa ed alza le mani, in segno di resa. Ma mi rimbalza contro un silenzio pieno di astio, lo stesso di chi sta iniziando a stufarsi dei propri tentativi - buttare giù un muro crepato così tante volte da chiedersi come faccia a restare ancora in piedi. Raccoglie una scatoletta, inizia a sezionarla fino a che non ne rimangono brandelli: respira piano, Bastienne, sa quanto odi il rumore. Ed è delicato, a modo suo - prendersi una premura che non gli spetterebbe.

L'holodeck trilla sulla scrivania - il ragazzo si alza, esegue istruzioni che non ho neanche dovuto dargli: scrolla le spalle, si siede sul tavolo ed inizia ad armeggiare senza scrupoli.
Scorre messaggi, foto, chiamate, registrazioni.


« Non mi drogo più, sto seguendo bene la terapia, sai? Mi curo e mi hanno fatto la pulizia del sangue.. »
« You are such a good girl. »
Ci ho messo un po' a realizzare che si trattasse di quella registrazione - e da quel momento all'alzarmi non è passato qualche secondo. 'Bastienne mi guarda a bocca aperta, ed è con quell'espressione che incassa uno schiaffo - una violenza che non mi appartiene ma che non ho saputo rimandare indietro, testimone di un fulgore spento, bruciato dalla cenere che mi piantona gli occhi.

« A chi altri l'avevi detto? »
« Get out. »
« Excuse me? »
« Get out. »


Prima che potessi anche solo accorgermene ho il viso bagnato, una maschera salina dal retrogusto amaro, privo della dolcezza di cui si riempiono le lacrime di un piano consolatorio.
'Bastienne è biondo, ed ha gli occhi verdi - me ne ricordo solo quando mi spinge contro occhiate del genere, solo quando si alza per prendermi tra le braccia - ignorare ogni urlo e graffio ed inutili tentativi di svincolarmi.
Ha le braccia troppo forti - ed è forse solo questo il motivo per cui mi è rimasto accanto, anche dopo tutto questo tempo: è forse solo questo il motivo per cui mi è rimasto accanto anche dopo, mentre cercavo di scavare il lattice del materasso per affondarci i denti  e gridare soffocandoci dentro la voce, come se non sapessi più contro cosa bestemmiare - che il cielo è troppo grande per potermi ascoltare.

« I need to ask you a favor. »
« .. »
« .. La riconosceresti come tua figlia? »
« Stai scherzando? »

« .. please. »
« Non ci pensare nemmeno Virginie, a che cazzo di gioco stai giocando? »

« I'm asking you, please. »
« Quel coglione non può darle il suo cognome, immagino. »
« .. Non può, è nella Shouye. »


'Bastienne si porta una mano sulla faccia, a cancellare qualcosa che cerca di non farmi leggere - posso sentire il suo respiro, adesso, scalfirmi addosso graffi incapaci di lasciare una cicatrice.
Posso sentirne il battito pompare su per le vene una quantità spropositata di sangue - deglutire la rabbia che non vuole gettarmi contro, ma che sarei pronta ad assorbire senza tentennamenti.

« What if he decides he doesn't want you to be his ... girlfriend or what it is, anymore? »
« I don't know. Ma non è questo il punto. »
« E qual'è il punto? »
« .. non è per Yahn. E' per me, io la voglio per me, la voglio più di ogni altra cosa. »

Lui tace, e lo sento stringere in gola parole che vorrebbe urlarmi addosso - che non sono pronta, che le rose più belle hanno le spine ed io ho la pelle troppo sottile per poterle afferrare: ma è delicato, mentre mi getta quegli occhi addosso, lo sento dal modo in cui ricama baci sulla punta dei miei polpastrelli.
E' da lui che ho imparato a marchiare le nocche - lui non ha mai smesso di farlo, e non sembra essere giunta l'ora degli addii. Ma Mr Clean ci guarda - muto e lontano, veicolo di ferite lasciate aperte senza pietà. E sono altri volti a spaziarmi tra i pensieri - Lee e Melanie, Yahn e Melanie, Stone e Melanie.
Discorsi che continuano a rimbombarmi nella mente - ricerca di indizi nascosti troppo bene, almeno per me.

« I'll be always waiting here, ya' know. »
« I know. »


'Bastienne non mi guarda negli occhi, e solitamente evita di farlo, quando deve dire certe cose.
Credo si tratti di un moto di pudore - proteggersi da specchi troppo opachi, un'immagine distorta dal proprio riflesso: preferisce sprofondare la testa sul cuscino, annuire piano, tornare a respirare senza fare rumore - cercando di mettere a tacere quel cuore che continuo a sentire battere forte, sotto le costole.

« So, she'll be Melanie Lennox. »
« Sounds good. »
« Well, she'll be mine, a bit. »
« Yeah, a bit. »

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A Step Back



Beethoven si accorse della propria malattia all'apice della sua carriera.

Attraversò un periodo di colluttazione con sé stesso, fino a rinchiudersi nella propria prigione personale - oltre muri che nessuno avrebbe potuto infangare con lo sguardo.
A niente valsero le cure, e nel 1820 divenne completamente sordo.
Mio padre mi diceva che preferì costruirsi una reputazione da misantropo -piuttosto che ammettere di aver conosciuto una fine: è per questo che non smise di comporre.

Note che non avrebbe mai sentito federe l'aria - pallini scuri incastrati tra le corde di un pentagramma: niente di più bello, una resa dolcissima e sporca di tutta la meraviglia di cui riuscirei ad imbrattarmi le mani.

È Beethoven che risuona nelle cuffie - stipata in una nave di seconda classe con dei perfetti sconosciuti: non ho avuto tempo di prendere il biglietto, ero troppo impegnata a schivare le mie meteoriti personali - pagare in contati ha fatto sorridere il controllore.

«What's happened, sweez?»
«Nothing. Need to get back to Horyzon.
»
«Thats the right way.
»

Lo skyplex brulica di persone, ed immagino sia il posto giusto per sentirsi soli - stringere sotto la pelle la sensazione di non valere più di nessuna delle vite che ti scorre accanto, prendere coscienza del fatto che tutti potrebbero pensarla allo stesso modo: Philip ha gli occhi azzurri come i miei, anche se ha cercato di impedirmi di guardarglieli per la maggior parte del tempo.

« You won’t hurt me, isnt it?»
« Aye, non vorrei mai farti del male.»
« Per cui me lo diresti, se fossi in pericolo?»
« A-Aye..»

« I know you would.»

Ed adesso sono io a mentire – uno specchio affogato nel buio di una fiducia regalata senza riserve: Philip mi scansa, con lo sguardo. Ha gli occhi stanchi e dimostra molto più dei suoi diciannove anni – ma non è in grado di mentire, o forse sono io che ho imparato e leggergli il viso fin troppo bene.
So che lo faresti – so che mi avvertiresti, se fossi in pericolo. Anche se non è così, e vorrei soffocare dentro quell’azzurro che ti porti dietro – farti sentire qual è il dazio da pagare per tutta questa fragilità.

Philip indietreggia ed io lo seguo, in un walzer che nessuno dei due ha voglia di ballare, chè la leggerezza sarebbe fuori posto adesso: non mi guarda, ed avrei voglia di buttargli addosso tutto quello che sento dentro – dovevo ripagare un debito che forse, però, non sono in grado di saldare.

« Phil, dimmi la verità.»
« Te l’ho detta. »
« No, you didn't. »

Ho preso la sua mano tra le mie – sentito le nocche sotto le labbra, il preludio ad un addio che riesco a sentire lacerarmi la pelle, separare muscoli ed ossa con la stessa caparbia della delusione che mi calpesta gli occhi. Lui non la stringe, è come se non fosse neanche lì , o come se non volesse esserci  - perché la verità fa male, ed io non vorrei mai farti del male.

« Non sto cercando di incastrarti, ho solo dannatamente bisogno di sapere se posso fidarmi di te, Philip.»
« Te l’ho detto, ricordi? Non ti devi fidare di nessuno.»

Il paradosso di un consiglio che avrei dovuto seguire anni ed anni fa – le Terrazze che tremano e Philip che mi porta via, ambasciatore di una salvezza ustionante, testimone di un’innocenza che deve esserci ancora, da qualche parte.  Un passo indietro – ricominciare a ballare con la paura a stridere nelle orecchie – e stavolta sono io a muovermi, che magari in questo modo riesci ad evitare le parole – una coltellata avrebbe fatto meno male.

« Who the fuck are you. »
«.. I don't know.
»

E vorrei urlargli addosso che forse è ora di pensarci, perchè tradire le persone è da vigliacchi – giocare con quello che si nasconde dietro gli occhi della gente è da codardi,  chè le anime in frantumi non sono poi così rare.
Solo che non mi ricordo come si fa, o forse è solo il fatto che non ho davvero più nulla da dirgli – dire tutto senza dire niente, sono sempre stata piuttosto brava con queste cose.

« You know what? You were right, we’re better off on our own.»
« …
»

Bruciare gli occhi con le lacrime – spargervi sopra del sale con l’intenzione di disinfettarli, pulire via tutto lo sporco che mi porto dentro:  Philip che mi guarda le spalle – non avrei mai chiesto a nessun altro, Phil, lo sai vero?  - che mi raggiunge senza uno straccio di garanzia – fare calcoli senza riuscire a tirare le somme, un’addizione in negativo che si staglia in controluce tra le possibilità di un’operazione incerta – canoni e schemi rigettati con la violenza di un conato.

« So, i think this is a goodbye.»
« Aye. E’ l’unico modo che ho per proteggerti.
»

Un passo indietro,  dita che si aggrappano al metallo – non ho bisogno di altri sostegni, adesso:  Philip smette di parlare – accettare gli addii con la consapevolezza del fatto che sono l’unico esito possibile, epilogo di un libro scritto a quattro mani – bugie ed omertà sono esattamente la stessa cosa.
Un passo indietro  e poi quattro in avanti – aggrapparsi alle spalle di Philip con tutta la forza che mi rimane: chiudere gli occhi e respirargli contro, Philip che si aggrappa a me con la stessa ostinazione – se solo non fossi così dannatamente fragile sarai rimasta, ti giuro che l’avrei fatto.


«…»

Azzurro dentro azzurro per l’ultima volta – iniziare correre a perdifiato tra la gente, nella speranza di riuscire a riempire un vuoto con altre mani – altri occhi, magari azzurri come i tuoi.

Il rumore di qualcosa che s’infrange contro la pensilina – non posso girarmi, non posso rischiare di tornare indietro, non si tratta di me, non si tratta solo di me.
E’ meglio continuare a correre – ma dove cazzo vai, vuoi stare attenta?  - sacrificarci i polmoni, ma correre – perdersi tra le navi dello skyplex e continuare a correre, per lasciarsi indietro l’amarezza di un addio che non ha mai fatto così paura.  


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"Are u ok?"








Ravel mi ha sempre fatto salire i brividi.
Che fossero di piacere, o di disgusto, non importava.
Erano brividi capaci di sgranarmi la spina dorsale vertebra dopo vertebra - come se avessi delle ossa talmente sottili da potersi spezzare a causa di un fremito.

Le fiamme erano alte, molto più di tutti gli uomini che provavano a spegnerle.
Non che m'importasse molto, in quel momento: Lèon - il tassista che ho dovuto supplicare per circa 10 minuti, per farmi portare alle terrazze - continuava a non capire perchè desiderassi tanto avvicinarmi, nemmeno quando gli ho allungato le banconote prima di scendere - pay attention, dolly.
Non ricordo neanche di avergli risposto, spero di aver annuito, o di avergli spalmato contro un mezzo sorriso.

L'ultimo, prima di arrivare all'ingresso delle Terrazze: Peers e Krieger mi hanno riconosciuta - sono stati cortesi, a non mandarmi via, a lasciarmi scattare foto.
Una, due, tre, fino a quindici: fino a quando non ho bisogno di caricarle sul database - spero che almeno siano utili, perchè forse non avrei dovuto sporcarmi gli occhi con un fuoco che brucia ancora, sotto la pelle.

E bruciava anche dopo, sotto le coperte, contro il petto di Yahn - credo abbia provato a darmi conforto, a modo suo.
Solo che ero troppo occupata a trafficare con quel maledetto holodeck, aspettare risposte che sapevo non sarebbero mai arrivare - pregare qualsiasi Dio di starmi sbagliando, perchè tra quei quattrocentoventicinque morti ho bisogno di sapere che non ci siano loro.

"Vado a farti una camomilla, così poi proviamo a dormire."

Devo avergli risposto, altrimenti so che non si sarebbe mai alzato: luci accese, lenzuola candide - non è la notte giusta per stropicciarle, c'è ancora troppo rosso a sporcarmi gli occhi.
Non ci vuole molto per fare mente locale, per quanto potrebbe suonare strano: Lee mi ha già risposto, Philip mi ha scritto per primo, Yahn mi stava già aspettando sotto casa. Sebastian è su Greenfield, Samuel su New London, Felix dovrebbe stare ancora nel Rim.
Un sospiro, ricomincia.


- Lars, message sent: are u ok?
...
- Honeypie, message sent: are u ok?
...
- Eddie, message sent: are u ok?
...
- Jordan, message sent: are u ok?
...
- 'Bastienne, message sent: are u ok?
...
- Astrid, message sent: are u ok?
[ la frequenza cortex da lei richiesta è inesistente ]

Il bs holodeck trilla e finisce contro il muro prima che me ne possa realmente rendere conto: con lo stesso tempismo mi accorgo di avere la faccia umida e le mani premute sugli occhi - è meglio non pensarle neanche, certe cose. 

« 'Ginie, are you ok? »

La voce di Yahn è lontana - passi mossi con la stessa foga di chi conosce il rischio della perdita: non credo sia pronta la camomilla, ma sembra aver capito che non sarebbe stata sufficiente a farmi dormire. 
Recupera l'holodeck da terra - sbircia i messaggi senza biasimo, senza chiedere nulla.
So che può capire - per quanto possa fargli male, leggere quei nomi sullo schermo: so che può capire e che capirà, qualsiasi cosa accada.

« I'm fucking not ok. »
« Come here. »

E' effettivamente l'unica cosa che è rimasta da fare - arrampicarsi contro il petto di Yahn ed affogare lì sopra tutte le paura, fino a che la notte non diventerà abbastanza buia da ingoiarsi tutti gli incubi.





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Safety Dust





La Du Prè suonava per vivere.
Letteralmente, perchè anche se ogni singola fibra muscolare cospirava per intorpidirle le dita, lei continuava a gettare l'anima contro quelle quattro corde, ne traeva frammenti di cristallo, melodie di cui era impossibile non innamorarsi.
Mio padre mi spiegò che era malata - sclerosi multipla, mi disse.
Ma precisò che fino a quando l'ultimo muscolo non smise di lottare, lei continuò a suonare - suonava per vivere, era esattamente così.

Il concerto di Elgar rimbomba sulle pareti della casa - una performance leggendaria e definitiva, l'hanno definita così. Non che ne capisca realmente qualcosa, è solo che lo puoi sentire - il dolore, la sofferenza - li puoi sentire dentro ogni nota, fuggire l'equilibrio fragile di un'armonia vulnerabile - vulnerabile, è questa la parola che stavo cercando.

« Vì, turn off this shit.»
« .. I thought you lov--»
« Turn off this shit. »

Subito dopo, la musica ha smesso d'illuminare la stanza, un'opacità nebulosa capace di togliere il fiato - non ho bisogno di respirare, o forse é solo mancanza di voglia - un giradischi della Terra-che-fu, Davis che mi parla di come la Du Prè avesse continuato a vivere per quelle note, per dare al mondo un'alternativa - la possibilità di condividere una sofferenza troppo profonda per essere bruciata dall'egoismo delle parole.
Davis che tace, e mi guarda - una consapevolezza ustionante, la stessa nascosta nelle lacrime che solo il cuscino ha imparato a conoscere. La ricerca di qualcosa di perfetto - muscolo contro muscolo, piede contro piede, labbra contro labbra. Una lotta angosciante, la necessità di riprendersi un amore che non merita, che non merito, una polvere capace di risolvere tutti i problemi - problemi che esistono solo nella tua testa, Virginie.

Un silenzio che riesce a riempirmi i timpani con lo stesso fragore di vetri rotti, non c'è bisogno di parlare - ti prego non parlare, non saprei quale voce usare per risponderti. Il conoscere già tutte le risposte, il non volerle ascoltare, la mancanza di coraggio - gli occhi di Davis che si posano sui miei.

« So, what we're going to do. »
« About what. »
« About us. »

Non è una domanda, sembra piu un constatazione - la presa di coscienza di qualcosa che ha iniziato a scivolare tra le dita con la puntualità di granelli di sabbia. 
Davis mi guarda come se non mi avesse mai vista - o come se avesse appena imparato a conoscermi: non c'è delicatezza o attenzione nelle carezze che mi riserva dopo, solo una furia spietata - ho imparato a capire che i graffi non sono che un altro modo per lasciare una firma, dimostrare al mondo la forza di un amore sgretolato già dalle fondamenta.

Cosette, la domestica, entra in camera con la paura dipinta sugli occhi - un collare a testimoniare una fedeltà obbligata, ma mai tradita. 
Adocchia la blast sul tavolino, ci guarda: credo si stia chiedendo quando arriverà il momento in cui potrà tornare libera - in cui anche io potrò farlo, fuggire i lacci di un amore soffocante, eppure talmente forte da regalarmi ancora motivi per respirare.

« Peyton in salotto, attende per il colloquio, Mr Robinson. »

David non risponde: non la guarda neanche - cerca di bruciarmi la pelle continuando a spingermi addosso quegli occhi, la ricerca di una risposta che non ho la forza di dare. 
Si alza lentamente, carne chiara scolpita su un incrocio tonico di muscoli ed ossa - mani troppo grandi che scendono a raccogliere un accappatoio, un pacchetto di sigarette. 
Si muove con la lentezza di un animale in procinto di azzannare la propria vittima - ma io sto già sanguinando, non servono morsi letali: è bastato un suo sguardo a traforarmi l'anima, è bastato un solo sguardo per decidere che non c'era niente da fare, bisogna solo aspettare.

« Porto via questa roba »
« No, no. Lasciala Cosette, ci penso io. »

Che è meglio farla sparire dentro le vene, questa roba.
Cosette mi guarda con la compassione a scolpire ogni ruga - una compassione cosi esplicita da farmi venire voglia di strapparle la faccia a morsi, che non ho bisogno delle tua cazzo di pietà. 
Sono parole non dette, ma basta uno sguardo, perché lei mi conosce - ci conosce come la più rassegnata delle madri, che prega Dio di riprendersi i propri figli prima che questi possano prendersi lei - la poca vita che le rima da stringere in quelle dita nodose.
Si congeda con una riverenza strafottente, sparisce oltre una porta che so già essere chiusa a chiave - ancora prima che senta grattare la chiave nella toppa.
Ma non è importante - non adesso: ho tutto ciò che mi serve per sparire dietro i miei universi paralleli - paradisi artificiali dove salvare ciò che rimane dei frammenti d'anima.






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Fighting water



Brahms è trasparente. 
Lascia la possibilità al cielo di specchiarsi nell'acqua, non c'è traccia di arroganza sulle note dei suoi spartiti, solo una certezza - quella di non poter più fare a meno delle sue melodie.

Sento il rumore di uno scroscìo continuo arrampicarsi sulle mie gambe - gocce invadenti che risalgono la pelle, un tepore che ha iniziato a starmi scomodo, almeno tanto quanto la sensazione ovattata di una fine incombente.
La mia, sembra essere sempre più vicina, goccia dopo goccia.

".. Ginie?"

L'acqua continua a scorrere ormai da un paio d'ore, la vasca rischia di rigettare tutto a terra - occhi aperti nel tentativo di annegare tutte le paure, i capelli di una sirenetta che le incorniciano il capo come una corolla.
Ho nascosto la testa sotto quella superficie infrangibile, nella speranza di poter riuscire a sentire solo il mio respiro, il cuore scandire battiti con insistenza, una caparbia dolcissima, persa tra le note di Whitmon ed i tramonti di Clackline.
Sono solo quelle le voci che vorrei ascoltare, zittire tutte le altre in un gorgoglìo silenzioso - bolle d'aria che sgonfiano i polmoni, bronchi annacquati che chiedono pietà.

"...Virginie?"

Fili d'oro intrecciati su occhi lontani, il mare che ne infanga l'iride: non sarò mai come lei, anche se con gli stessi capelli biondi, anche se con gli stessi occhi azzurri.
Non riuscirò mai a salvare la vita di nessuno - le basterebbe solo un sorriso ad illuminare il mondo intero.
Il mio stesso mondo, brilla grazie a lei: una salvezza che ha il sapore di gratitudine, un debito che non ho la forza - e nemmeno il coraggio - di saldare completamente.
Bisogna sempre lasciarsi qualcosa dietro, in modo che ci sia un motivo per tornare.

"... Virginie, o apri tu, o sfondo la porta. "

La sua voce arriva lontana, cercando abbattere i muri che l'acqua ha costruito intorno ai timpani, un suono  tremendamente ovattato - sembra piombare direttamente sugli incubi, cuciti ancora a disegnare un alpha ed un omega sul plesso solare.
Pelle raggrinzita sotto i polpastrelli, l'umidità appiccicata al cuore - un battito più lento, chè non c'è bisogno di gridare sott'acqua. 
Solo che non concedono tregua - sento le grida dritte sotto le unghie, deve esistere un modo per metterle a tacere.

''There's no way sweetie. You're a victim of your own mind.''

Secondo dopo secondo ho iniziato a sentire mancare il respiro - ma non faceva male, non così male quanto ci si aspetterebbe, almeno.
Occhi verdi a sovrastare ricordi ustionanti, gelidi di rancore ed una rabbia condivisa - la privazione d'una felicità cui tutti dovrebbero avere accesso, il sorriso dell'adoescenza.
Mani sottili e delicate - mi guarda e fa le fusa, non muove più la coda e non soffia, si accoccola sul petto e cerca di scaldarmi i muscoli, un cuore che batte sempre più lentamente, a fatica.

"..."

I rumori del legno che cede, cardini spezzati dalla forza della paura - o l'Amore, Dio fa che abbia i suoi occhi, non chiedo nient'altro.
Passi che lacerano la quiete sprangando ogni pensiero, ho gli occhi chiusi - i polmoni rigonfi d'acqua, dita chiare che si stringono sui bordi della vasca- la stessa consistenza di un sogno che s'infrange nella richiesta di aria.

Jordan che mi racconta delle storie - una sirenetta, tutto quello che ne rimane è spuma. 
Whitmon nel verde di un mare sporco, corrotto da un'amore malato, del tutto simile eppure quasi antitetico al mio: il verde più bello che abbia mai visto, l'innocenza di una bambina - fa che abbia il suo stesso modo di sorridere, lo schermarsi dietro una libertà negata, ma mai perduta.

''Virginie..''

Soffoca, e solo ora respiro: le sue braccia sotto la schiena, aria che torna a trafiggere i polmoni - occhi rossi di un'acqua che non mi appartiene.
Yahn che sospira - vorrei potergli parlare, potergli spiegare che la debolezza non la puoi combattere - ma lui mi guarda, e non ne ha bisogno.

Non sono sicura che abbia capito - Yahn che si spoglia e poco dopo passa l'acqua sulle mie spalle - come se potesse lavare via lo sporco che mi impregna l'anima, rendermi pulita.

''Lo sporco non lo tiri più via quando ti arriva fin dentro gli occhi.''

Non c'è traccia di Clackline in queste parole, si appollaiano scomode sul cemento di NewLondon, vocali strette e ben poco musicali - voci che esistono solo nella mia testa, di cui nessuno ha bisogno di controllare l'esistenza.
Ma io so che ci sono, e forse questo é abbastanza.

Abbastanza per chiudere gli occhi - cercare le sue dita, fargli sentire i graffi sulle tempie. Non c'è molto da dire, nulla di cui vorrei parlare: un silenzio che non ha bisogno di essere colmato, il calore di un respiro che non è il mio, ma che è ugualmente capace di nutrirmi i bronchi.

''Avresti dovuto scavare più a fondo - ma c'è sempre tempo.''

Un vuoto lasciato a sanguinare senza risposte - gli occhi scuri di una donna di cui non mi rimane che il nome, mia figlia si chiamerà come lei.
Il ricordo di un'affetto fragile - il più sincero che fossi in grado di provare, la scommessa di poter riparare ad una delusione fragorosa, sigillata da delle linee rosse che vorrei fossero rimaste a rigarmi il viso.

Una certezza minata da dubbi, pensieri troppo vicini tra loro, tanto da collidere - un'assenza può essere più dolorosa di una pugnalata ed il costato di una bambola di cristallo, risutato patetico di un lavoro piuttosto sommario, non può essere in grado di resistere.

Non senza delle braccia a sorreggerlo - Yahn che mi sorride, saremo felici, vedrai.
Non posso promettertelo, ma te lo giuro che saremo felici.
Fino a che tutta l'anima, fino all'ultimo pezzo di cristallo, non si sarà trasformata in spuma.




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"Welcome to my timeline, Stalker."


Niente Debussy, niente Fournier o Cjakovskij.
Niente Brahms, Chopin o Listz.
Non stanotte, scura di intermezzi striduli e pentagrammi spezzati.

Trentasette secondi.
Otto ottave.
Instrumental.

Fatelo smettere, smetti, smetti, smetti, smetti, smetti, basta.
Non ti pregherò mai, ma ti prego fallo smettere.

« 'Gene. »

Sento sui polsi e sulle caviglie il peso della mia fragilità, ossa piegate dalla forza della paura, sguardo precluso dalla coscienza di essere vulnerabile, una benda nera.
Le corde stringono, ulna e radio tornano a congiungersi in un'adunata nostalgica, tibia e fibula strette in un legamento artificiale, fibra di cotone e nylon, non sono sicura che tutto questo sia reale.
Il dolore, però, quello lo è.
Come questa maledetta musica, il desiderio che tutto venga ultimato, ho smesso di lottare quando ho capito che non sapevo più piangere.

Non quando è buio ad occhi aperti, non quando il tanfo di morte impregna talmente tanto l'aria da iniziare a pensare che ormai è parte di te, o che forse sei tu, ad emanarlo.

"Probably you're alredy dead."
"Probably you have to shut the fuck up."

Le voci sono tornate a farmi compagnia nel momento esatto in cui ho lasciato che le tenebre invadessero la mia stessa anima, frantumi di cristallo sparsi su un tappeto rosso, preludio di un caos logorante, tarli di una mente troppo debole per opporsi a sè stessa.
Urlano senza pietà, non riesco a graffiarle via, posso solo gridare: se solo ricordassi come si fa, se solo potessi farlo, se solo non avessi le dita così fragili - polsi e caviglie serrati nel morso della debolezza, questo è il dazio che bisogna pagare per tutta la delicatezza.

« Vi. »

La sua voce, atri e ventricoli smettono di collaborare, mitriale e tricuspide perdono di sincronismo: un colpo al cuore, forse ho iniziato a ricordare che sapore hanno le lacrime.
Unghie che affondano a lacerare la carne, una violenza alogica, cruenta, vorace: sangue tra le cuticole, schegge affilate che dilaniano la carne: ho una pelle troppo sottile, non ci metteranno molto a stracciarla.
Lontano, le sue mani su di me, non posso sentirlo, i suoi occhi.

« He's already dead. Now it's your turn. »

Affondano le zanne sin dentro il mio cranio, i polmoni che si concedono una tregua dolorosa, un ustione che si muove lungo lo sterno - brucia da morire, ho l'odore del sangue attaccato sulla pelle, non riuscirò mai a liberarmene. Le loro dita, mani che premono contro il costato, ho le ossa talmente leggere - vorrei essere un uccello, le ossa cave e le ali da spiegare - un uccello ferito soffre in agonia, muore in trionfo.
Una fenice rinasce dalle proprie ceneri.

« Now you're here, it's ok »

Spina dorsale curvata sotto la forza di mani invisibili, forse sono ancora lì - io non posso vederli.
Una goccia - una sola - acqua trasparente, avvelenata di tutta l'angoscia che sento formicolare sulla pelle, ancora quel tanfo, non riesco a distinguere le voci.
Una goccia, non avevo mai pensato a quanto l'acqua potesse essere crudele: la pelle inizia a deformarsi sotto una pressione scostante, leggera tanto da erodere uno spazio tra le vertebre - atlante, la più testarda, sta cercando di resistere.

Ho perso le mie note, lui ha perso le sue: Dio, Grazie.
Niente più musica, non voglio più ascoltarne, mai più, ma adesso suona per me.
Un rumore graffiante, interferenze ai miei incubi - forse è meglio così, è meglio non addormentarsi, so che potrei non risvegliarmi più.

« Well, well, well.. »

Not again.
Se avessi delle dannate ali - sarebbero di cera, ma non importerebbe - potrei sferzare l'aria con le dita, pretendere dal cielo la luce che mi merito. Fioca, spenta, filtrata senza riguardo da un vetro sporco - un lucchetto ad impedirmi di uscire, le dita chiedono pietà.
Privata dei miei legamenti artificiali, mani e piedi hanno riconquistato la propria libertà: cauti, abbandonano la terra ferma, cercano di sferzare il vuoto esattamente come gli occhi cercano la mia luce.
Vermiglia, riesce a brillare al buio.

« Told you, sweetheart. Your turn. »

Pareti impregnate dalla puzza dell'angoscia - la mia non deve essere stato il primo: casa degli orrori di un parco divertimenti abbandonato, una testa scivola ai miei piedi, avrei preferito essere cieca.
Ho gli occhi aperti, e riesco a vedere il buio: lo spazio tra i polmoni risuona di un eco tachicardico, un rimbombare aritmico scandito dal pulsare del sangue - ero sicura di averne ancora, nelle vene.

« C'è da dire che ci voglia una certa perizia per fare un lavoro di.. »
« ... »
« A real deal. ..  No Alliance, Me ... Saint. »
« 'mn it »

Argento e topazio, non avrebbe potuto cercare meglio: molto più dell'oro dei miei capelli, molto più del rubino di tutto il sangue.
Posso sentire le liane dell'angoscia stringersi attorno al petto, cercano d'impedirmi di respirare. Sarebbe tutto più semplice, nessuno oggetto con cui essere scambiati, una vita per due vite, non c'è neanche bisogno di ragionarci: solo un pensiero - il mare ed un sorriso, poi il buio.
Un corridoio lungo kilometri, devo riuscire a catturare quella luce, ad imprigionarla negli occhi, a farla mia.

« Sempre che non sia lei ad imprigionare te. »
« Shut the fuck up. »

Polpastrelli che si aggrappano alla carta da parati - viene giù come fosse polvere, dannazione.
Non sono abbastanza stabile, scalza, rumore metallici.
Non sono passi umani, questo mi basta: ancora un metro, guarda la luce è lì che devi arrivare, ancora un metro.

Trentasette secondi.
Otto ottave.
Instrumental.

« Stop, stop, stop, stop.. »

Ho cercato di proteggere timpani e coclea, i palmi sanno essere meravigliose conchiglie: solo che non riesco a sentire il mare, neanche volendo.
Tre uomini, sei braccia: ne basta uno solo a portarmi via, due a legarmi alla sedia.
Polsi e caviglie costrette in una morsa soffocante, occhi chiari che fissano i miei, hanno delle mani troppo grandi, non chiederò mai perdono in tempo.

Basta solo un braccio a portarmi via, due mani e legarmi alla sedia.
Un uomo per sollevare un secchio, un altro per impedire che disobbedisca: conato dopo conato, posso sentire il sangue scorrere lungo l'esofago, transitare per lo stomaco, procedere verso l'intestino.
Treni scardinati fuori dai binari, non si muove lungo le vene, preferisce una via più rapida: Kevin mi tiene la bocca, Cello cerca di non farmi morire soffocata.
Non subito, almeno.

« Assicurati che lo beva tutto. »

Bastano dieci dita, una carezza possessiva che si arrampica su per il collo: involucro di nervi ed arterie, sento la spina dorsale sfregare contro i suoi polpastrelli, non voglio guardare gli occhi di un uomo che uccide, non voglio che siano l'ultima cosa che vedo.

« Sorry, Saint. »

Bastano dieci dita a recidere una vita sottile, senza radici e lontana, persa fin troppi anni fa dietro a delle polverine magiche, chiavi per i tuoi paradisi artificiali.
La sensazione di apnea mi è sempre stata familiare, avrei preferito morire vestita di bianco - il rosso non mi dona, ma forse sta bene tra i capelli, sulle labbra.
Sono sicura che al buio incontrerò i miei creatori, le braccia potranno trasformarsi in alberi - mi perderò tra le foglie, ma non potranno più spezzarmi le ali.

«  'Gene. Sei a Capital Ciy, e sei viva. Sei viva. »









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Unfading


Listz, stanotte.
Listz che in realtà è sempre stato un gran casino: una musica così soffocante da non concedere vie di fuga, note ingombranti, impossibili da scansare.
Una fragilità saldissima, nutrita dall'ossimoro che riempie l'animo di uno strumento abbandonato, silenzioso.

Unification Park è sempre stato un posto meraviglioso, ettari di un verde ordinato, incasellato in rettangoli precisi - così diverso da Greenfield, qui non ho paura.
Albàn che corre sino a sfinirmi, ormai deve aver capito come si sgancia quel maledettissimo guinzaglio: non riesco a trattenerlo senza perdere l'equilibrio, ho pensato che nella notte potesse catturare tutta la luce, rifletterla nello spazio concesso della mancanza del gene di cui la natura l'ha privato.

Albàn che corre a perdifiato, una gatta su una panchina: occhi verdi, immensi e selvaggi - meravigliosi.
Gratta la carta quasi dovesse ricamare le ombre che sfuggono, allunga la mano verso Albàn.

" Dovrei farlo addestrare, mi dispiace. "
" No, invece. Non dovresti. " 


La libertà ha un prezzo, un prezzo che io non ho mai imparato a conoscere: mi è stata regalata come l'aria,  nel diniego irrispettoso di farmi vivere in apnea.
E' per questo, forse, che non sono mai riuscita ad apprezzarla fino in fondo, ma neanche in superficie.
Una colata d'oro e due smeraldi, la delicatezza del vento tra fili d'erba: un ritratto, gratta la carta come se volesse rendere indelebile tutto quello che tocca.
Indelebile, un sorriso nei miei occhi.

"That doesnt mean nothing. Not for me."
"Good"


Ha il collo soffocato da una lamina d'argento - non ho avuto il coraggio di guardarla, ne di chiederle qualcosa. Le dita continuavano a graffiare la carta, ma non potevo vederle: sentivo i suoi occhi sfiorarmi il volto, artigli che ne carezzavano la pigmentazione, mi osservava, senza guardarmi.
Poca luce, tutte quella che c'era veniva riflessa nel vento di maggio che ne spostava la chioma - si è lasciata accarezzare, senza soffiarmi contro.

Mi sono sentita bella - bella - solo quando ho ritrovato il mio volto in uno specchio cartaceo, il suo.
Linee morbide tra i capelli, il luccichio di uno splendore che so non appartenermi.

Horyzon, Cap City
22th May, 2516


"Maybe I could make a drawing here."
"Do the fuck you want, Sam." 


Samuel dice che il blu mi sta bene, addosso.
Per imprimere meglio in concetto, ha deciso di passare un pennello sulle pareti bianche di casa mia - una donna, un profilo.
Non ha mai risposto a nessuna delle mie domanda, ha sempre preteso che fossi io a regalargli attimi di vita.
Lui si nutriva di quelli, ed io, mi nutrivo di lui.







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Black Coal



Ho sempre odiato Ciajkovskij, non riuscivo a capirne la poetica. Frammenti di note incastrate tra di loro, in una corsa senza tempo, così violenta da perderci il senno. Una sensibilità estenuante, da alzare gli occhi al cielo e pregare Dio di averne ancora, ed ancora, ed ancora.

Non so esattamente da quanto tempo stia ascoltando questa musica: so solo che conosco alla perfezione il numero delle pieghe delle lenzuola, la loro angolazione, il numero dei granelli di polvere sul davanzale. E' stato un bene, in fondo, quello di eliminare i colori, gli specchi, le foto. E' più facile fare i conti con te stessa, mi disse una volta.

Ma in generale non credo sia una buona idea: se c'è bisogno di fare i conti, automaticamente, c'è qualcosa che non torna, qualcosa per cui si percepisce la necessità di cercare di fare ordine. 
Io, non ci riesco quasi mai.

« Tu puoi dirti felice? »
« No. Ma ho smesso di farmi male per questo. E tu? »

Sei stato bravo a tapparmi la bocca, Mr Shaw.
Un balzo al cuore, ecco cosa è stata quella domanda: un colpo di frusta dritto su per la spina dorsale, a ricordarmi di quanto la pusillanimità possa gravare sulle spalle di qualcuno.
Le mie, sai, non sono mai state molto forti.

Non abbastanza da mettere a tacere le voci che imperversano nella mia testa, quando la stanchezza è troppa e la luce troppo poca. Quando sento distintamente le dita della notte scendere sul mio corpo, impossessarsi di tutto il bianco che mi è rimasto negli occhi. Ben poco, ad essere precisi.

« Do you really have a death wish? »
« Sometimes. »

Ho cercato di bruciare le mie stesse dita solo perchè qualcosa, dentro la testa, me lo ordinava. Qualcosa che assomigliava tremendamente alla sua voce, soffocata dalle altre, che non sono riuscita a riconoscere.
Ho obbedito, cos'altro avrei potuto fare?
Ho obbedito, ma non avrei mai ceduto, se la voce fosse stata un'altra.
Per un momento ho desiderato che non mi lasciassi il polso: per un istante ho voluto che mi facessi male, che fossi tu a compiere la mia espiazione.
Un momento, in cui tutto l'argento colato dei tuoi occhi mi è sembrato carbone. 
E bruciava, Dio solo sà come bruciava.


« Vì.. »
« To make it easier.. »
« Vì.. What the fuck did you take? 'Cause you're not making any sense »
« Easier to accept »
« Accept. »
« The end »
« The end. What fucking end would that be? »
«  .. Mine, Davis. »




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It Never Happened



Il sole filtra attraverso le tende pesanti dell'ufficio di Samuel Peterson: un'arredamento spartano, una vetrata che dà sul mare, un tappeto marrone, dei fiori, un giradischi.
Oggi ha optato per Brahms, inizio a riconoscere le note: precise, limpide, si inseguono in una corsa tremendamente delicata, cercando di raggiungersi vicendevolmente. Si fermano, si lasciano sfiorare, si nascondono. Non si lasceranno mai conquistare, ma non importa. 
Sono stanca, lui lo sa. Ma non dice niente, ed aspetta, col busto protratto in avanti, i gomiti sulle ginocchia, le mani incrociate sotto il mento. Aspetta, paziente.

«What are you thinking about?» «My fiancée. » «What about him ? » «Nothing. »

Aspetta che sia io ad alzare lo sguardo, perché lui non ha mai abbandonato il mio: sento distintamente i suoi occhi fermarsi sulle mie tempie, le stesse che tanto sfacciatamente erano state raggiunte dalle mie mani, in un disperato tentativo di mettere a tacere le voci che, ancora una volta, mi ordinavano di non parlare.
Lascia che reclini la testa sul divanetto, che guardi fuori: ha scostato le tende di modo che possa avere il mio brandello di cielo, in modo che io possa scappare.
Non me l'ha mai detto, ma gliel'ho letto sulle labbra.

«Something did happen to him, isn’t it? »
« Lots of things happened to him. He was born almost a month late, won a poetry competition when he was 6, he met Sarah Shepard. .»
« And, somewhere in that.. he has been hospitalized»
«… »

« Why that? Why not the good stuff? »
« Because I'm not interested in it. »


Ha sempre avuto questa dannatissima capacità di calmarmi: la sua voce arrivava dritta al cuore, evitando accuratamente di seguire il percorso usuale. Scanzava con eleganza il timpano, gli ossicini, la chiocciola.
A questi preferiva atri e ventricoli di un ritmo irregolare,  perchè solo così riusciva a scacciare gli incubi, a sconfiggere tutti i mostri della mia mente, a distruggere le voci che chiedevano il mio sangue.
Mi piace sentirlo parlare, anche se le cose che dice non sono quelle che vorrei sentirmi dire. Sa essere indelicato, diretto. Sa colpirmi quando cerco di schivarlo, sa farlo con tutta la forza che ha in corpo.
Ma non fa mai male.

« Tell me what's happened, darling. From the start. »

Non ricordo più da dove devo aver iniziato. Quante volte posso avergli mentito e quante volte può essere riuscito a redimermi, a far sì che gli sputassi addosso ogni frammento di verità, con tutto il rancore e l'odio di cui ero capace. Non ricordo quante volte deve essere rimasto a guardarmi piangere, ad ascoltarmi rimanere in silenzio. A stringere i denti, a prendermi la mano, a chiedermi di affidargli la mia vita.
Ed io l'ho fatto, per Dio lo giuro, l'ho fatto.

« Open your eyes. »
«...»
« Well done, Virginie. It took three months for you to tell me this story. »
« ... »
« How do you feel? »
« Awful. »


Non è abbastanza, non sarà mai abbastanza. Le mie dita tremano, cercano di agganciarsi al divano con tutta la forza che ho. Non respiro, non posso farlo, almeno fino a quando non è lui a ricordarmelo.
Conosce ogni mia mossa, ed è così che mi sento.
Spalle al muro.
Non ho la possibilità di combatterlo, posso solo arrendermi, ed è una resa dolcissima.

« I'd like to try something then. I wanna you to close your eyes again. »
«...»
« .. and imagine that he's never been hospitalized. Can you do that for me?  »
« But he HAS been hos..  »
« It's just an exercise. Try to imagine it never happened. »


Brahms mi chiude gli occhi con una delicatezza prepotente: non c'è violenza, in quella melodia. Rabbia, paura, dolore, sono solo delle anastrofi casuali, parole prive di senso, particelle di una molecola assurda, insensata, alogica.
Le immagini si susseguono rapidamente nel mio cinema personale, le voci iniziano ad urlare, e lo farei anche io, se solo riuscissi a ricordare come si fa.

« Try to imagine it never happened. »

La sua voce mi raggiunge, lontana anni luce. Riesce a farmi cadere, mi solleva, mi strattona a terra, ho i muscoli atrofizzati, non posso combattere.
Non devi farlo, lasciati andare.
L'uccellino continua a picchiettare contro il vetro, sembra quasi che sia vitale, per lui, entrare.
Sam si alza, va ad aprire la finestra.

L'ultima cosa che ricordo è un sorriso - il mio - e la luce in quella stanza.









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White Sheets


Fournier e Debussy, in sottofondo.
Forse sono semplicemente dentro la mia testa, ma non importa: ho scelto io di sentirle. Ho scelto io di vedere il suo volto, ancora, di chinare la testa su un tavolino sudicio, di abbandonarmi all’oblio. Ho scelto io di aprire la mente ad universi simultanei, ho scelto io di avvelenarmi nella maniera più dolce che conoscessi.

« Non lascerò che qualcun altro, oltre me, ti annichilisca. »
« Non ce n’è bisogno. Oltre te, c’è solo lei. »


Il mio personale surrogato di felicità sintetica brilla al buio. Cattura tutta la luce, la concentra su di sè: ed è egoista, non la rimanda indietro. Si confonde con le pillole – credo sia Rhenazol - sparse tra le pagine di un libro aperto, macchiato di caffè – o sangue, non ricordo. Le pareti si chiudono su di me, ed un cielo che non posso vedere incombe, minaccioso, come una cappa. Soffocante ed invisibile.

Volevo farlo per lei, perché quello schiaffo era stato più doloroso di tutti i graffi, i pugni, le urla. Perché era delusione, rabbia, amarezza, ed io non potevo sopportarlo.  Non da lei, non potrò mai.
Volevo abbandonare il buio, censurare il silenzio: volevo dare la forza a queste dita sottili per aggrapparsi a qualcosa di solido un uomo - una donna. Qualcuno.
Mi dispiace, Melanie Bishop, ma non credo che riuscirai ad uccidermi.
Non credo che ci riuscirà qualcun altro.
Ho le dita abbastanza forti per farlo da sola.

« Sembri un angelo. »
« Avrei delle ali. E saremmo già scappati da qui. »

Il concetto di Amore rimane sempre tale, anche quando è totalmente distorto. Anche quando i soggetti si confondono, quando i contorni sono tracciati con l'ausilio del vento. Quando la carne sotto ai denti non è la sua, quando le labbra, il respiro, gli occhi, sono altri. Altrettanto meravigliosi. Ma non i suoi.

Yahn Fharsen è steso al mio fianco, e mi stringe ancora la mano.
Sa chi sono, adesso. Ho gli stessi capelli biondi, gli stessi occhi azzurri. Ma non sono sua, e lui non è mio.
O meglio: gli ho devolto la mia vita, avrebbe potuto spezzarmi con un solo sguardo. Ma non l'ha fatto, ed ha trovato i miei occhi. 

Ho cercato il suo corpo fra le lenzuola, bianche: gli ho donato il mio senza riserve, con tutto l'amore che conservavo tra le braccia. Ho sentito la sua mano nella mia, l'ho sentito amarmi come se io fossi Lei.
Ed io l'ho amato, come se fosse Lui.

Gli ho graffiato la schiena perchè volevo lasciargli un segno: come un animale, ho avuto paura che dimenticasse che ero stata sua, anche se solo per poche ore.
Avrei voluto farlo anche sul cuore, ma non sarei stata sincera.









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Memories






Un silenzio lacerante, che taglia in profondità, fa sanguinare: esattamente come un coltello che segue la linea - sottile - delle dita, per segnarne il contorno su un foglio, leggero e affilato. 
Un silenzio crudele, che fende il buio con ferocia, colpisce ed affonda nel punto più debole, squarcia il cielo, lo frantuma a terra, come cristallo.

Un uomo che mi guarda, immobile: i sensi annebbiati, una carezza, atroce, violenta.

 "You should stop."
"..."
"You should stop making me so angry, Virgin."
"... My name is Virginie."
"I think Virgin is prettier."
"I think you should go."
"HOW DARE YOU"


"You do not have to talk to me in this way, you know why ah?"
"..."
"Because you'll get hurt, and nobody wants to see such a pretty face scarred, no?"
"..."

Un silenzio sferzato solo dalle parole, cristalli in frantumi, pezzi di cielo che colpiscono le mie gambe, delicati, strazianti. La voce di un uomo che dovrebbe amarmi, che mi sfiora il viso, con violenza, che stringe il mio collo tra le mani, e potrebbe uccidermi con la facilità con cui si spezza un giunco.

"Leave."
Un sussurro, non riesco a fare altro.
Un sussurro e lui mi spinge sul letto, è vicino a me.

"If I leave right now, you will never EVER see my face again."
"..."
"You such a whore"

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La voce di un uomo che dovrei amare, che mi guarda negli occhi e mi colpisce, la voce di un uomo che mi ricorda chi è e quanto sarà doloroso tutto quello che verrà. La voce di un uomo che mi avverte.

" Leave, now."
"You will pay for this, Virginie"
"You can start calling me Miss SaintSimon"
" Of course, dirty slutty bitch."
"It was a pleasure, Mr Robinson. Now, if you want to leave.."

Una porta che si apre, gli occhi dell'uomo che dovrebbe amarmi, per l'ultima volta.
Una porta si chiude, gli occhi dell'uomo che dovrei amare, per l'ultima volta.






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