Powered by Blogger.

Blogger news

Unfading


Listz, stanotte.
Listz che in realtà è sempre stato un gran casino: una musica così soffocante da non concedere vie di fuga, note ingombranti, impossibili da scansare.
Una fragilità saldissima, nutrita dall'ossimoro che riempie l'animo di uno strumento abbandonato, silenzioso.

Unification Park è sempre stato un posto meraviglioso, ettari di un verde ordinato, incasellato in rettangoli precisi - così diverso da Greenfield, qui non ho paura.
Albàn che corre sino a sfinirmi, ormai deve aver capito come si sgancia quel maledettissimo guinzaglio: non riesco a trattenerlo senza perdere l'equilibrio, ho pensato che nella notte potesse catturare tutta la luce, rifletterla nello spazio concesso della mancanza del gene di cui la natura l'ha privato.

Albàn che corre a perdifiato, una gatta su una panchina: occhi verdi, immensi e selvaggi - meravigliosi.
Gratta la carta quasi dovesse ricamare le ombre che sfuggono, allunga la mano verso Albàn.

" Dovrei farlo addestrare, mi dispiace. "
" No, invece. Non dovresti. " 


La libertà ha un prezzo, un prezzo che io non ho mai imparato a conoscere: mi è stata regalata come l'aria,  nel diniego irrispettoso di farmi vivere in apnea.
E' per questo, forse, che non sono mai riuscita ad apprezzarla fino in fondo, ma neanche in superficie.
Una colata d'oro e due smeraldi, la delicatezza del vento tra fili d'erba: un ritratto, gratta la carta come se volesse rendere indelebile tutto quello che tocca.
Indelebile, un sorriso nei miei occhi.

"That doesnt mean nothing. Not for me."
"Good"


Ha il collo soffocato da una lamina d'argento - non ho avuto il coraggio di guardarla, ne di chiederle qualcosa. Le dita continuavano a graffiare la carta, ma non potevo vederle: sentivo i suoi occhi sfiorarmi il volto, artigli che ne carezzavano la pigmentazione, mi osservava, senza guardarmi.
Poca luce, tutte quella che c'era veniva riflessa nel vento di maggio che ne spostava la chioma - si è lasciata accarezzare, senza soffiarmi contro.

Mi sono sentita bella - bella - solo quando ho ritrovato il mio volto in uno specchio cartaceo, il suo.
Linee morbide tra i capelli, il luccichio di uno splendore che so non appartenermi.

Horyzon, Cap City
22th May, 2516


"Maybe I could make a drawing here."
"Do the fuck you want, Sam." 


Samuel dice che il blu mi sta bene, addosso.
Per imprimere meglio in concetto, ha deciso di passare un pennello sulle pareti bianche di casa mia - una donna, un profilo.
Non ha mai risposto a nessuna delle mie domanda, ha sempre preteso che fossi io a regalargli attimi di vita.
Lui si nutriva di quelli, ed io, mi nutrivo di lui.







< >

Black Coal



Ho sempre odiato Ciajkovskij, non riuscivo a capirne la poetica. Frammenti di note incastrate tra di loro, in una corsa senza tempo, così violenta da perderci il senno. Una sensibilità estenuante, da alzare gli occhi al cielo e pregare Dio di averne ancora, ed ancora, ed ancora.

Non so esattamente da quanto tempo stia ascoltando questa musica: so solo che conosco alla perfezione il numero delle pieghe delle lenzuola, la loro angolazione, il numero dei granelli di polvere sul davanzale. E' stato un bene, in fondo, quello di eliminare i colori, gli specchi, le foto. E' più facile fare i conti con te stessa, mi disse una volta.

Ma in generale non credo sia una buona idea: se c'è bisogno di fare i conti, automaticamente, c'è qualcosa che non torna, qualcosa per cui si percepisce la necessità di cercare di fare ordine. 
Io, non ci riesco quasi mai.

« Tu puoi dirti felice? »
« No. Ma ho smesso di farmi male per questo. E tu? »

Sei stato bravo a tapparmi la bocca, Mr Shaw.
Un balzo al cuore, ecco cosa è stata quella domanda: un colpo di frusta dritto su per la spina dorsale, a ricordarmi di quanto la pusillanimità possa gravare sulle spalle di qualcuno.
Le mie, sai, non sono mai state molto forti.

Non abbastanza da mettere a tacere le voci che imperversano nella mia testa, quando la stanchezza è troppa e la luce troppo poca. Quando sento distintamente le dita della notte scendere sul mio corpo, impossessarsi di tutto il bianco che mi è rimasto negli occhi. Ben poco, ad essere precisi.

« Do you really have a death wish? »
« Sometimes. »

Ho cercato di bruciare le mie stesse dita solo perchè qualcosa, dentro la testa, me lo ordinava. Qualcosa che assomigliava tremendamente alla sua voce, soffocata dalle altre, che non sono riuscita a riconoscere.
Ho obbedito, cos'altro avrei potuto fare?
Ho obbedito, ma non avrei mai ceduto, se la voce fosse stata un'altra.
Per un momento ho desiderato che non mi lasciassi il polso: per un istante ho voluto che mi facessi male, che fossi tu a compiere la mia espiazione.
Un momento, in cui tutto l'argento colato dei tuoi occhi mi è sembrato carbone. 
E bruciava, Dio solo sà come bruciava.


« Vì.. »
« To make it easier.. »
« Vì.. What the fuck did you take? 'Cause you're not making any sense »
« Easier to accept »
« Accept. »
« The end »
« The end. What fucking end would that be? »
«  .. Mine, Davis. »




< >

It Never Happened



Il sole filtra attraverso le tende pesanti dell'ufficio di Samuel Peterson: un'arredamento spartano, una vetrata che dà sul mare, un tappeto marrone, dei fiori, un giradischi.
Oggi ha optato per Brahms, inizio a riconoscere le note: precise, limpide, si inseguono in una corsa tremendamente delicata, cercando di raggiungersi vicendevolmente. Si fermano, si lasciano sfiorare, si nascondono. Non si lasceranno mai conquistare, ma non importa. 
Sono stanca, lui lo sa. Ma non dice niente, ed aspetta, col busto protratto in avanti, i gomiti sulle ginocchia, le mani incrociate sotto il mento. Aspetta, paziente.

«What are you thinking about?» «My fiancée. » «What about him ? » «Nothing. »

Aspetta che sia io ad alzare lo sguardo, perché lui non ha mai abbandonato il mio: sento distintamente i suoi occhi fermarsi sulle mie tempie, le stesse che tanto sfacciatamente erano state raggiunte dalle mie mani, in un disperato tentativo di mettere a tacere le voci che, ancora una volta, mi ordinavano di non parlare.
Lascia che reclini la testa sul divanetto, che guardi fuori: ha scostato le tende di modo che possa avere il mio brandello di cielo, in modo che io possa scappare.
Non me l'ha mai detto, ma gliel'ho letto sulle labbra.

«Something did happen to him, isn’t it? »
« Lots of things happened to him. He was born almost a month late, won a poetry competition when he was 6, he met Sarah Shepard. .»
« And, somewhere in that.. he has been hospitalized»
«… »

« Why that? Why not the good stuff? »
« Because I'm not interested in it. »


Ha sempre avuto questa dannatissima capacità di calmarmi: la sua voce arrivava dritta al cuore, evitando accuratamente di seguire il percorso usuale. Scanzava con eleganza il timpano, gli ossicini, la chiocciola.
A questi preferiva atri e ventricoli di un ritmo irregolare,  perchè solo così riusciva a scacciare gli incubi, a sconfiggere tutti i mostri della mia mente, a distruggere le voci che chiedevano il mio sangue.
Mi piace sentirlo parlare, anche se le cose che dice non sono quelle che vorrei sentirmi dire. Sa essere indelicato, diretto. Sa colpirmi quando cerco di schivarlo, sa farlo con tutta la forza che ha in corpo.
Ma non fa mai male.

« Tell me what's happened, darling. From the start. »

Non ricordo più da dove devo aver iniziato. Quante volte posso avergli mentito e quante volte può essere riuscito a redimermi, a far sì che gli sputassi addosso ogni frammento di verità, con tutto il rancore e l'odio di cui ero capace. Non ricordo quante volte deve essere rimasto a guardarmi piangere, ad ascoltarmi rimanere in silenzio. A stringere i denti, a prendermi la mano, a chiedermi di affidargli la mia vita.
Ed io l'ho fatto, per Dio lo giuro, l'ho fatto.

« Open your eyes. »
«...»
« Well done, Virginie. It took three months for you to tell me this story. »
« ... »
« How do you feel? »
« Awful. »


Non è abbastanza, non sarà mai abbastanza. Le mie dita tremano, cercano di agganciarsi al divano con tutta la forza che ho. Non respiro, non posso farlo, almeno fino a quando non è lui a ricordarmelo.
Conosce ogni mia mossa, ed è così che mi sento.
Spalle al muro.
Non ho la possibilità di combatterlo, posso solo arrendermi, ed è una resa dolcissima.

« I'd like to try something then. I wanna you to close your eyes again. »
«...»
« .. and imagine that he's never been hospitalized. Can you do that for me?  »
« But he HAS been hos..  »
« It's just an exercise. Try to imagine it never happened. »


Brahms mi chiude gli occhi con una delicatezza prepotente: non c'è violenza, in quella melodia. Rabbia, paura, dolore, sono solo delle anastrofi casuali, parole prive di senso, particelle di una molecola assurda, insensata, alogica.
Le immagini si susseguono rapidamente nel mio cinema personale, le voci iniziano ad urlare, e lo farei anche io, se solo riuscissi a ricordare come si fa.

« Try to imagine it never happened. »

La sua voce mi raggiunge, lontana anni luce. Riesce a farmi cadere, mi solleva, mi strattona a terra, ho i muscoli atrofizzati, non posso combattere.
Non devi farlo, lasciati andare.
L'uccellino continua a picchiettare contro il vetro, sembra quasi che sia vitale, per lui, entrare.
Sam si alza, va ad aprire la finestra.

L'ultima cosa che ricordo è un sorriso - il mio - e la luce in quella stanza.









< >

White Sheets


Fournier e Debussy, in sottofondo.
Forse sono semplicemente dentro la mia testa, ma non importa: ho scelto io di sentirle. Ho scelto io di vedere il suo volto, ancora, di chinare la testa su un tavolino sudicio, di abbandonarmi all’oblio. Ho scelto io di aprire la mente ad universi simultanei, ho scelto io di avvelenarmi nella maniera più dolce che conoscessi.

« Non lascerò che qualcun altro, oltre me, ti annichilisca. »
« Non ce n’è bisogno. Oltre te, c’è solo lei. »


Il mio personale surrogato di felicità sintetica brilla al buio. Cattura tutta la luce, la concentra su di sè: ed è egoista, non la rimanda indietro. Si confonde con le pillole – credo sia Rhenazol - sparse tra le pagine di un libro aperto, macchiato di caffè – o sangue, non ricordo. Le pareti si chiudono su di me, ed un cielo che non posso vedere incombe, minaccioso, come una cappa. Soffocante ed invisibile.

Volevo farlo per lei, perché quello schiaffo era stato più doloroso di tutti i graffi, i pugni, le urla. Perché era delusione, rabbia, amarezza, ed io non potevo sopportarlo.  Non da lei, non potrò mai.
Volevo abbandonare il buio, censurare il silenzio: volevo dare la forza a queste dita sottili per aggrapparsi a qualcosa di solido un uomo - una donna. Qualcuno.
Mi dispiace, Melanie Bishop, ma non credo che riuscirai ad uccidermi.
Non credo che ci riuscirà qualcun altro.
Ho le dita abbastanza forti per farlo da sola.

« Sembri un angelo. »
« Avrei delle ali. E saremmo già scappati da qui. »

Il concetto di Amore rimane sempre tale, anche quando è totalmente distorto. Anche quando i soggetti si confondono, quando i contorni sono tracciati con l'ausilio del vento. Quando la carne sotto ai denti non è la sua, quando le labbra, il respiro, gli occhi, sono altri. Altrettanto meravigliosi. Ma non i suoi.

Yahn Fharsen è steso al mio fianco, e mi stringe ancora la mano.
Sa chi sono, adesso. Ho gli stessi capelli biondi, gli stessi occhi azzurri. Ma non sono sua, e lui non è mio.
O meglio: gli ho devolto la mia vita, avrebbe potuto spezzarmi con un solo sguardo. Ma non l'ha fatto, ed ha trovato i miei occhi. 

Ho cercato il suo corpo fra le lenzuola, bianche: gli ho donato il mio senza riserve, con tutto l'amore che conservavo tra le braccia. Ho sentito la sua mano nella mia, l'ho sentito amarmi come se io fossi Lei.
Ed io l'ho amato, come se fosse Lui.

Gli ho graffiato la schiena perchè volevo lasciargli un segno: come un animale, ho avuto paura che dimenticasse che ero stata sua, anche se solo per poche ore.
Avrei voluto farlo anche sul cuore, ma non sarei stata sincera.









< >