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Schumann con tutta quella calma.
Così piatto da farmi venire voglia di gridare - infrangere tutte le note contro la barriera del suono, lacerare ogni tipo di protezione ed affilare la lama per trafiggere il cuore di una melodia spietata.
In fin dei conti si tratta solo di una combinazione di pallini bianchi e neri, impilarli nelle corde di un pentagramma alla stregua del più elementare degli abachi: fare i conti con la risonanza dei numeri - addizioni in negativo di radici irrazionali.

I minuti scorrono privi di pudore, ed io fatico a ricordare quanto tempo è passato dal momento in cui sono tornata a casa - Mr Clean mi fissa dall'altra parte del salotto, cadavere di memorie troppo fresche per essere seppellite.

Ha lampeggiato solo un paio di volte, prima di spegnersi definitivamente: ha buttato fuori tutto quello che aveva da dire, cercato chi sapeva di non poter trovare dietro una scrivania vuota, e poi ha deciso che non c'era più niente da pulire - spazzole che non possono lucidare i peccati di un'anima martoriata.

« Forse non dovresti tenerla. »
« ... »
« La potresti far adottare, ci sono un sacco di famiglie che sarebbero disposte. »
« .. »
« .. The fuck,Virginie, ma mi stai almeno ascoltando? »


'Bastienne rischia di perdere la pazienza e lo sento da come trema, ma ci sono altre voci a riempirmi i timpani - la sua è troppo distante, e comunque non è quella che vorrei sentire: continua a camminare avanti ed indietro - scavalcare scatolette di medicinali presi con il giusto dosaggio, un misto di responsabilità e pressione che non ho la certezza di potermi addossare.

Mr Clean continua a fissarmi senza pietà e Bastienne alza gli occhi al cielo, si butta sul divano lasciando che l'unico rumore, adesso, sia quello della pioggia che sbatte sulle finestre - o quello sincrono di mitrale e tricuspide, che collaborano per aprirsi un varco all'altezza del seno.
Ho gli occhi troppo pieni di cose - ricordi, immagini.

«  Pensi di poter passarmi sull'holodeck il contenuto di alcuni nastri? »
« Che nastri? »
« Quelli di quel drone. »
« .. che devi farci dei nastri di un robot per le pulizie? »
« This is none of your business. »


'Bastienne sbuffa ed alza le mani, in segno di resa. Ma mi rimbalza contro un silenzio pieno di astio, lo stesso di chi sta iniziando a stufarsi dei propri tentativi - buttare giù un muro crepato così tante volte da chiedersi come faccia a restare ancora in piedi. Raccoglie una scatoletta, inizia a sezionarla fino a che non ne rimangono brandelli: respira piano, Bastienne, sa quanto odi il rumore. Ed è delicato, a modo suo - prendersi una premura che non gli spetterebbe.

L'holodeck trilla sulla scrivania - il ragazzo si alza, esegue istruzioni che non ho neanche dovuto dargli: scrolla le spalle, si siede sul tavolo ed inizia ad armeggiare senza scrupoli.
Scorre messaggi, foto, chiamate, registrazioni.


« Non mi drogo più, sto seguendo bene la terapia, sai? Mi curo e mi hanno fatto la pulizia del sangue.. »
« You are such a good girl. »
Ci ho messo un po' a realizzare che si trattasse di quella registrazione - e da quel momento all'alzarmi non è passato qualche secondo. 'Bastienne mi guarda a bocca aperta, ed è con quell'espressione che incassa uno schiaffo - una violenza che non mi appartiene ma che non ho saputo rimandare indietro, testimone di un fulgore spento, bruciato dalla cenere che mi piantona gli occhi.

« A chi altri l'avevi detto? »
« Get out. »
« Excuse me? »
« Get out. »


Prima che potessi anche solo accorgermene ho il viso bagnato, una maschera salina dal retrogusto amaro, privo della dolcezza di cui si riempiono le lacrime di un piano consolatorio.
'Bastienne è biondo, ed ha gli occhi verdi - me ne ricordo solo quando mi spinge contro occhiate del genere, solo quando si alza per prendermi tra le braccia - ignorare ogni urlo e graffio ed inutili tentativi di svincolarmi.
Ha le braccia troppo forti - ed è forse solo questo il motivo per cui mi è rimasto accanto, anche dopo tutto questo tempo: è forse solo questo il motivo per cui mi è rimasto accanto anche dopo, mentre cercavo di scavare il lattice del materasso per affondarci i denti  e gridare soffocandoci dentro la voce, come se non sapessi più contro cosa bestemmiare - che il cielo è troppo grande per potermi ascoltare.

« I need to ask you a favor. »
« .. »
« .. La riconosceresti come tua figlia? »
« Stai scherzando? »

« .. please. »
« Non ci pensare nemmeno Virginie, a che cazzo di gioco stai giocando? »

« I'm asking you, please. »
« Quel coglione non può darle il suo cognome, immagino. »
« .. Non può, è nella Shouye. »


'Bastienne si porta una mano sulla faccia, a cancellare qualcosa che cerca di non farmi leggere - posso sentire il suo respiro, adesso, scalfirmi addosso graffi incapaci di lasciare una cicatrice.
Posso sentirne il battito pompare su per le vene una quantità spropositata di sangue - deglutire la rabbia che non vuole gettarmi contro, ma che sarei pronta ad assorbire senza tentennamenti.

« What if he decides he doesn't want you to be his ... girlfriend or what it is, anymore? »
« I don't know. Ma non è questo il punto. »
« E qual'è il punto? »
« .. non è per Yahn. E' per me, io la voglio per me, la voglio più di ogni altra cosa. »

Lui tace, e lo sento stringere in gola parole che vorrebbe urlarmi addosso - che non sono pronta, che le rose più belle hanno le spine ed io ho la pelle troppo sottile per poterle afferrare: ma è delicato, mentre mi getta quegli occhi addosso, lo sento dal modo in cui ricama baci sulla punta dei miei polpastrelli.
E' da lui che ho imparato a marchiare le nocche - lui non ha mai smesso di farlo, e non sembra essere giunta l'ora degli addii. Ma Mr Clean ci guarda - muto e lontano, veicolo di ferite lasciate aperte senza pietà. E sono altri volti a spaziarmi tra i pensieri - Lee e Melanie, Yahn e Melanie, Stone e Melanie.
Discorsi che continuano a rimbombarmi nella mente - ricerca di indizi nascosti troppo bene, almeno per me.

« I'll be always waiting here, ya' know. »
« I know. »


'Bastienne non mi guarda negli occhi, e solitamente evita di farlo, quando deve dire certe cose.
Credo si tratti di un moto di pudore - proteggersi da specchi troppo opachi, un'immagine distorta dal proprio riflesso: preferisce sprofondare la testa sul cuscino, annuire piano, tornare a respirare senza fare rumore - cercando di mettere a tacere quel cuore che continuo a sentire battere forte, sotto le costole.

« So, she'll be Melanie Lennox. »
« Sounds good. »
« Well, she'll be mine, a bit. »
« Yeah, a bit. »

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A Step Back



Beethoven si accorse della propria malattia all'apice della sua carriera.

Attraversò un periodo di colluttazione con sé stesso, fino a rinchiudersi nella propria prigione personale - oltre muri che nessuno avrebbe potuto infangare con lo sguardo.
A niente valsero le cure, e nel 1820 divenne completamente sordo.
Mio padre mi diceva che preferì costruirsi una reputazione da misantropo -piuttosto che ammettere di aver conosciuto una fine: è per questo che non smise di comporre.

Note che non avrebbe mai sentito federe l'aria - pallini scuri incastrati tra le corde di un pentagramma: niente di più bello, una resa dolcissima e sporca di tutta la meraviglia di cui riuscirei ad imbrattarmi le mani.

È Beethoven che risuona nelle cuffie - stipata in una nave di seconda classe con dei perfetti sconosciuti: non ho avuto tempo di prendere il biglietto, ero troppo impegnata a schivare le mie meteoriti personali - pagare in contati ha fatto sorridere il controllore.

«What's happened, sweez?»
«Nothing. Need to get back to Horyzon.
»
«Thats the right way.
»

Lo skyplex brulica di persone, ed immagino sia il posto giusto per sentirsi soli - stringere sotto la pelle la sensazione di non valere più di nessuna delle vite che ti scorre accanto, prendere coscienza del fatto che tutti potrebbero pensarla allo stesso modo: Philip ha gli occhi azzurri come i miei, anche se ha cercato di impedirmi di guardarglieli per la maggior parte del tempo.

« You won’t hurt me, isnt it?»
« Aye, non vorrei mai farti del male.»
« Per cui me lo diresti, se fossi in pericolo?»
« A-Aye..»

« I know you would.»

Ed adesso sono io a mentire – uno specchio affogato nel buio di una fiducia regalata senza riserve: Philip mi scansa, con lo sguardo. Ha gli occhi stanchi e dimostra molto più dei suoi diciannove anni – ma non è in grado di mentire, o forse sono io che ho imparato e leggergli il viso fin troppo bene.
So che lo faresti – so che mi avvertiresti, se fossi in pericolo. Anche se non è così, e vorrei soffocare dentro quell’azzurro che ti porti dietro – farti sentire qual è il dazio da pagare per tutta questa fragilità.

Philip indietreggia ed io lo seguo, in un walzer che nessuno dei due ha voglia di ballare, chè la leggerezza sarebbe fuori posto adesso: non mi guarda, ed avrei voglia di buttargli addosso tutto quello che sento dentro – dovevo ripagare un debito che forse, però, non sono in grado di saldare.

« Phil, dimmi la verità.»
« Te l’ho detta. »
« No, you didn't. »

Ho preso la sua mano tra le mie – sentito le nocche sotto le labbra, il preludio ad un addio che riesco a sentire lacerarmi la pelle, separare muscoli ed ossa con la stessa caparbia della delusione che mi calpesta gli occhi. Lui non la stringe, è come se non fosse neanche lì , o come se non volesse esserci  - perché la verità fa male, ed io non vorrei mai farti del male.

« Non sto cercando di incastrarti, ho solo dannatamente bisogno di sapere se posso fidarmi di te, Philip.»
« Te l’ho detto, ricordi? Non ti devi fidare di nessuno.»

Il paradosso di un consiglio che avrei dovuto seguire anni ed anni fa – le Terrazze che tremano e Philip che mi porta via, ambasciatore di una salvezza ustionante, testimone di un’innocenza che deve esserci ancora, da qualche parte.  Un passo indietro – ricominciare a ballare con la paura a stridere nelle orecchie – e stavolta sono io a muovermi, che magari in questo modo riesci ad evitare le parole – una coltellata avrebbe fatto meno male.

« Who the fuck are you. »
«.. I don't know.
»

E vorrei urlargli addosso che forse è ora di pensarci, perchè tradire le persone è da vigliacchi – giocare con quello che si nasconde dietro gli occhi della gente è da codardi,  chè le anime in frantumi non sono poi così rare.
Solo che non mi ricordo come si fa, o forse è solo il fatto che non ho davvero più nulla da dirgli – dire tutto senza dire niente, sono sempre stata piuttosto brava con queste cose.

« You know what? You were right, we’re better off on our own.»
« …
»

Bruciare gli occhi con le lacrime – spargervi sopra del sale con l’intenzione di disinfettarli, pulire via tutto lo sporco che mi porto dentro:  Philip che mi guarda le spalle – non avrei mai chiesto a nessun altro, Phil, lo sai vero?  - che mi raggiunge senza uno straccio di garanzia – fare calcoli senza riuscire a tirare le somme, un’addizione in negativo che si staglia in controluce tra le possibilità di un’operazione incerta – canoni e schemi rigettati con la violenza di un conato.

« So, i think this is a goodbye.»
« Aye. E’ l’unico modo che ho per proteggerti.
»

Un passo indietro,  dita che si aggrappano al metallo – non ho bisogno di altri sostegni, adesso:  Philip smette di parlare – accettare gli addii con la consapevolezza del fatto che sono l’unico esito possibile, epilogo di un libro scritto a quattro mani – bugie ed omertà sono esattamente la stessa cosa.
Un passo indietro  e poi quattro in avanti – aggrapparsi alle spalle di Philip con tutta la forza che mi rimane: chiudere gli occhi e respirargli contro, Philip che si aggrappa a me con la stessa ostinazione – se solo non fossi così dannatamente fragile sarai rimasta, ti giuro che l’avrei fatto.


«…»

Azzurro dentro azzurro per l’ultima volta – iniziare correre a perdifiato tra la gente, nella speranza di riuscire a riempire un vuoto con altre mani – altri occhi, magari azzurri come i tuoi.

Il rumore di qualcosa che s’infrange contro la pensilina – non posso girarmi, non posso rischiare di tornare indietro, non si tratta di me, non si tratta solo di me.
E’ meglio continuare a correre – ma dove cazzo vai, vuoi stare attenta?  - sacrificarci i polmoni, ma correre – perdersi tra le navi dello skyplex e continuare a correre, per lasciarsi indietro l’amarezza di un addio che non ha mai fatto così paura.  


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