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"Are u ok?"








Ravel mi ha sempre fatto salire i brividi.
Che fossero di piacere, o di disgusto, non importava.
Erano brividi capaci di sgranarmi la spina dorsale vertebra dopo vertebra - come se avessi delle ossa talmente sottili da potersi spezzare a causa di un fremito.

Le fiamme erano alte, molto più di tutti gli uomini che provavano a spegnerle.
Non che m'importasse molto, in quel momento: Lèon - il tassista che ho dovuto supplicare per circa 10 minuti, per farmi portare alle terrazze - continuava a non capire perchè desiderassi tanto avvicinarmi, nemmeno quando gli ho allungato le banconote prima di scendere - pay attention, dolly.
Non ricordo neanche di avergli risposto, spero di aver annuito, o di avergli spalmato contro un mezzo sorriso.

L'ultimo, prima di arrivare all'ingresso delle Terrazze: Peers e Krieger mi hanno riconosciuta - sono stati cortesi, a non mandarmi via, a lasciarmi scattare foto.
Una, due, tre, fino a quindici: fino a quando non ho bisogno di caricarle sul database - spero che almeno siano utili, perchè forse non avrei dovuto sporcarmi gli occhi con un fuoco che brucia ancora, sotto la pelle.

E bruciava anche dopo, sotto le coperte, contro il petto di Yahn - credo abbia provato a darmi conforto, a modo suo.
Solo che ero troppo occupata a trafficare con quel maledetto holodeck, aspettare risposte che sapevo non sarebbero mai arrivare - pregare qualsiasi Dio di starmi sbagliando, perchè tra quei quattrocentoventicinque morti ho bisogno di sapere che non ci siano loro.

"Vado a farti una camomilla, così poi proviamo a dormire."

Devo avergli risposto, altrimenti so che non si sarebbe mai alzato: luci accese, lenzuola candide - non è la notte giusta per stropicciarle, c'è ancora troppo rosso a sporcarmi gli occhi.
Non ci vuole molto per fare mente locale, per quanto potrebbe suonare strano: Lee mi ha già risposto, Philip mi ha scritto per primo, Yahn mi stava già aspettando sotto casa. Sebastian è su Greenfield, Samuel su New London, Felix dovrebbe stare ancora nel Rim.
Un sospiro, ricomincia.


- Lars, message sent: are u ok?
...
- Honeypie, message sent: are u ok?
...
- Eddie, message sent: are u ok?
...
- Jordan, message sent: are u ok?
...
- 'Bastienne, message sent: are u ok?
...
- Astrid, message sent: are u ok?
[ la frequenza cortex da lei richiesta è inesistente ]

Il bs holodeck trilla e finisce contro il muro prima che me ne possa realmente rendere conto: con lo stesso tempismo mi accorgo di avere la faccia umida e le mani premute sugli occhi - è meglio non pensarle neanche, certe cose. 

« 'Ginie, are you ok? »

La voce di Yahn è lontana - passi mossi con la stessa foga di chi conosce il rischio della perdita: non credo sia pronta la camomilla, ma sembra aver capito che non sarebbe stata sufficiente a farmi dormire. 
Recupera l'holodeck da terra - sbircia i messaggi senza biasimo, senza chiedere nulla.
So che può capire - per quanto possa fargli male, leggere quei nomi sullo schermo: so che può capire e che capirà, qualsiasi cosa accada.

« I'm fucking not ok. »
« Come here. »

E' effettivamente l'unica cosa che è rimasta da fare - arrampicarsi contro il petto di Yahn ed affogare lì sopra tutte le paura, fino a che la notte non diventerà abbastanza buia da ingoiarsi tutti gli incubi.





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Safety Dust





La Du Prè suonava per vivere.
Letteralmente, perchè anche se ogni singola fibra muscolare cospirava per intorpidirle le dita, lei continuava a gettare l'anima contro quelle quattro corde, ne traeva frammenti di cristallo, melodie di cui era impossibile non innamorarsi.
Mio padre mi spiegò che era malata - sclerosi multipla, mi disse.
Ma precisò che fino a quando l'ultimo muscolo non smise di lottare, lei continuò a suonare - suonava per vivere, era esattamente così.

Il concerto di Elgar rimbomba sulle pareti della casa - una performance leggendaria e definitiva, l'hanno definita così. Non che ne capisca realmente qualcosa, è solo che lo puoi sentire - il dolore, la sofferenza - li puoi sentire dentro ogni nota, fuggire l'equilibrio fragile di un'armonia vulnerabile - vulnerabile, è questa la parola che stavo cercando.

« Vì, turn off this shit.»
« .. I thought you lov--»
« Turn off this shit. »

Subito dopo, la musica ha smesso d'illuminare la stanza, un'opacità nebulosa capace di togliere il fiato - non ho bisogno di respirare, o forse é solo mancanza di voglia - un giradischi della Terra-che-fu, Davis che mi parla di come la Du Prè avesse continuato a vivere per quelle note, per dare al mondo un'alternativa - la possibilità di condividere una sofferenza troppo profonda per essere bruciata dall'egoismo delle parole.
Davis che tace, e mi guarda - una consapevolezza ustionante, la stessa nascosta nelle lacrime che solo il cuscino ha imparato a conoscere. La ricerca di qualcosa di perfetto - muscolo contro muscolo, piede contro piede, labbra contro labbra. Una lotta angosciante, la necessità di riprendersi un amore che non merita, che non merito, una polvere capace di risolvere tutti i problemi - problemi che esistono solo nella tua testa, Virginie.

Un silenzio che riesce a riempirmi i timpani con lo stesso fragore di vetri rotti, non c'è bisogno di parlare - ti prego non parlare, non saprei quale voce usare per risponderti. Il conoscere già tutte le risposte, il non volerle ascoltare, la mancanza di coraggio - gli occhi di Davis che si posano sui miei.

« So, what we're going to do. »
« About what. »
« About us. »

Non è una domanda, sembra piu un constatazione - la presa di coscienza di qualcosa che ha iniziato a scivolare tra le dita con la puntualità di granelli di sabbia. 
Davis mi guarda come se non mi avesse mai vista - o come se avesse appena imparato a conoscermi: non c'è delicatezza o attenzione nelle carezze che mi riserva dopo, solo una furia spietata - ho imparato a capire che i graffi non sono che un altro modo per lasciare una firma, dimostrare al mondo la forza di un amore sgretolato già dalle fondamenta.

Cosette, la domestica, entra in camera con la paura dipinta sugli occhi - un collare a testimoniare una fedeltà obbligata, ma mai tradita. 
Adocchia la blast sul tavolino, ci guarda: credo si stia chiedendo quando arriverà il momento in cui potrà tornare libera - in cui anche io potrò farlo, fuggire i lacci di un amore soffocante, eppure talmente forte da regalarmi ancora motivi per respirare.

« Peyton in salotto, attende per il colloquio, Mr Robinson. »

David non risponde: non la guarda neanche - cerca di bruciarmi la pelle continuando a spingermi addosso quegli occhi, la ricerca di una risposta che non ho la forza di dare. 
Si alza lentamente, carne chiara scolpita su un incrocio tonico di muscoli ed ossa - mani troppo grandi che scendono a raccogliere un accappatoio, un pacchetto di sigarette. 
Si muove con la lentezza di un animale in procinto di azzannare la propria vittima - ma io sto già sanguinando, non servono morsi letali: è bastato un suo sguardo a traforarmi l'anima, è bastato un solo sguardo per decidere che non c'era niente da fare, bisogna solo aspettare.

« Porto via questa roba »
« No, no. Lasciala Cosette, ci penso io. »

Che è meglio farla sparire dentro le vene, questa roba.
Cosette mi guarda con la compassione a scolpire ogni ruga - una compassione cosi esplicita da farmi venire voglia di strapparle la faccia a morsi, che non ho bisogno delle tua cazzo di pietà. 
Sono parole non dette, ma basta uno sguardo, perché lei mi conosce - ci conosce come la più rassegnata delle madri, che prega Dio di riprendersi i propri figli prima che questi possano prendersi lei - la poca vita che le rima da stringere in quelle dita nodose.
Si congeda con una riverenza strafottente, sparisce oltre una porta che so già essere chiusa a chiave - ancora prima che senta grattare la chiave nella toppa.
Ma non è importante - non adesso: ho tutto ciò che mi serve per sparire dietro i miei universi paralleli - paradisi artificiali dove salvare ciò che rimane dei frammenti d'anima.






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Fighting water



Brahms è trasparente. 
Lascia la possibilità al cielo di specchiarsi nell'acqua, non c'è traccia di arroganza sulle note dei suoi spartiti, solo una certezza - quella di non poter più fare a meno delle sue melodie.

Sento il rumore di uno scroscìo continuo arrampicarsi sulle mie gambe - gocce invadenti che risalgono la pelle, un tepore che ha iniziato a starmi scomodo, almeno tanto quanto la sensazione ovattata di una fine incombente.
La mia, sembra essere sempre più vicina, goccia dopo goccia.

".. Ginie?"

L'acqua continua a scorrere ormai da un paio d'ore, la vasca rischia di rigettare tutto a terra - occhi aperti nel tentativo di annegare tutte le paure, i capelli di una sirenetta che le incorniciano il capo come una corolla.
Ho nascosto la testa sotto quella superficie infrangibile, nella speranza di poter riuscire a sentire solo il mio respiro, il cuore scandire battiti con insistenza, una caparbia dolcissima, persa tra le note di Whitmon ed i tramonti di Clackline.
Sono solo quelle le voci che vorrei ascoltare, zittire tutte le altre in un gorgoglìo silenzioso - bolle d'aria che sgonfiano i polmoni, bronchi annacquati che chiedono pietà.

"...Virginie?"

Fili d'oro intrecciati su occhi lontani, il mare che ne infanga l'iride: non sarò mai come lei, anche se con gli stessi capelli biondi, anche se con gli stessi occhi azzurri.
Non riuscirò mai a salvare la vita di nessuno - le basterebbe solo un sorriso ad illuminare il mondo intero.
Il mio stesso mondo, brilla grazie a lei: una salvezza che ha il sapore di gratitudine, un debito che non ho la forza - e nemmeno il coraggio - di saldare completamente.
Bisogna sempre lasciarsi qualcosa dietro, in modo che ci sia un motivo per tornare.

"... Virginie, o apri tu, o sfondo la porta. "

La sua voce arriva lontana, cercando abbattere i muri che l'acqua ha costruito intorno ai timpani, un suono  tremendamente ovattato - sembra piombare direttamente sugli incubi, cuciti ancora a disegnare un alpha ed un omega sul plesso solare.
Pelle raggrinzita sotto i polpastrelli, l'umidità appiccicata al cuore - un battito più lento, chè non c'è bisogno di gridare sott'acqua. 
Solo che non concedono tregua - sento le grida dritte sotto le unghie, deve esistere un modo per metterle a tacere.

''There's no way sweetie. You're a victim of your own mind.''

Secondo dopo secondo ho iniziato a sentire mancare il respiro - ma non faceva male, non così male quanto ci si aspetterebbe, almeno.
Occhi verdi a sovrastare ricordi ustionanti, gelidi di rancore ed una rabbia condivisa - la privazione d'una felicità cui tutti dovrebbero avere accesso, il sorriso dell'adoescenza.
Mani sottili e delicate - mi guarda e fa le fusa, non muove più la coda e non soffia, si accoccola sul petto e cerca di scaldarmi i muscoli, un cuore che batte sempre più lentamente, a fatica.

"..."

I rumori del legno che cede, cardini spezzati dalla forza della paura - o l'Amore, Dio fa che abbia i suoi occhi, non chiedo nient'altro.
Passi che lacerano la quiete sprangando ogni pensiero, ho gli occhi chiusi - i polmoni rigonfi d'acqua, dita chiare che si stringono sui bordi della vasca- la stessa consistenza di un sogno che s'infrange nella richiesta di aria.

Jordan che mi racconta delle storie - una sirenetta, tutto quello che ne rimane è spuma. 
Whitmon nel verde di un mare sporco, corrotto da un'amore malato, del tutto simile eppure quasi antitetico al mio: il verde più bello che abbia mai visto, l'innocenza di una bambina - fa che abbia il suo stesso modo di sorridere, lo schermarsi dietro una libertà negata, ma mai perduta.

''Virginie..''

Soffoca, e solo ora respiro: le sue braccia sotto la schiena, aria che torna a trafiggere i polmoni - occhi rossi di un'acqua che non mi appartiene.
Yahn che sospira - vorrei potergli parlare, potergli spiegare che la debolezza non la puoi combattere - ma lui mi guarda, e non ne ha bisogno.

Non sono sicura che abbia capito - Yahn che si spoglia e poco dopo passa l'acqua sulle mie spalle - come se potesse lavare via lo sporco che mi impregna l'anima, rendermi pulita.

''Lo sporco non lo tiri più via quando ti arriva fin dentro gli occhi.''

Non c'è traccia di Clackline in queste parole, si appollaiano scomode sul cemento di NewLondon, vocali strette e ben poco musicali - voci che esistono solo nella mia testa, di cui nessuno ha bisogno di controllare l'esistenza.
Ma io so che ci sono, e forse questo é abbastanza.

Abbastanza per chiudere gli occhi - cercare le sue dita, fargli sentire i graffi sulle tempie. Non c'è molto da dire, nulla di cui vorrei parlare: un silenzio che non ha bisogno di essere colmato, il calore di un respiro che non è il mio, ma che è ugualmente capace di nutrirmi i bronchi.

''Avresti dovuto scavare più a fondo - ma c'è sempre tempo.''

Un vuoto lasciato a sanguinare senza risposte - gli occhi scuri di una donna di cui non mi rimane che il nome, mia figlia si chiamerà come lei.
Il ricordo di un'affetto fragile - il più sincero che fossi in grado di provare, la scommessa di poter riparare ad una delusione fragorosa, sigillata da delle linee rosse che vorrei fossero rimaste a rigarmi il viso.

Una certezza minata da dubbi, pensieri troppo vicini tra loro, tanto da collidere - un'assenza può essere più dolorosa di una pugnalata ed il costato di una bambola di cristallo, risutato patetico di un lavoro piuttosto sommario, non può essere in grado di resistere.

Non senza delle braccia a sorreggerlo - Yahn che mi sorride, saremo felici, vedrai.
Non posso promettertelo, ma te lo giuro che saremo felici.
Fino a che tutta l'anima, fino all'ultimo pezzo di cristallo, non si sarà trasformata in spuma.




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"Welcome to my timeline, Stalker."


Niente Debussy, niente Fournier o Cjakovskij.
Niente Brahms, Chopin o Listz.
Non stanotte, scura di intermezzi striduli e pentagrammi spezzati.

Trentasette secondi.
Otto ottave.
Instrumental.

Fatelo smettere, smetti, smetti, smetti, smetti, smetti, basta.
Non ti pregherò mai, ma ti prego fallo smettere.

« 'Gene. »

Sento sui polsi e sulle caviglie il peso della mia fragilità, ossa piegate dalla forza della paura, sguardo precluso dalla coscienza di essere vulnerabile, una benda nera.
Le corde stringono, ulna e radio tornano a congiungersi in un'adunata nostalgica, tibia e fibula strette in un legamento artificiale, fibra di cotone e nylon, non sono sicura che tutto questo sia reale.
Il dolore, però, quello lo è.
Come questa maledetta musica, il desiderio che tutto venga ultimato, ho smesso di lottare quando ho capito che non sapevo più piangere.

Non quando è buio ad occhi aperti, non quando il tanfo di morte impregna talmente tanto l'aria da iniziare a pensare che ormai è parte di te, o che forse sei tu, ad emanarlo.

"Probably you're alredy dead."
"Probably you have to shut the fuck up."

Le voci sono tornate a farmi compagnia nel momento esatto in cui ho lasciato che le tenebre invadessero la mia stessa anima, frantumi di cristallo sparsi su un tappeto rosso, preludio di un caos logorante, tarli di una mente troppo debole per opporsi a sè stessa.
Urlano senza pietà, non riesco a graffiarle via, posso solo gridare: se solo ricordassi come si fa, se solo potessi farlo, se solo non avessi le dita così fragili - polsi e caviglie serrati nel morso della debolezza, questo è il dazio che bisogna pagare per tutta la delicatezza.

« Vi. »

La sua voce, atri e ventricoli smettono di collaborare, mitriale e tricuspide perdono di sincronismo: un colpo al cuore, forse ho iniziato a ricordare che sapore hanno le lacrime.
Unghie che affondano a lacerare la carne, una violenza alogica, cruenta, vorace: sangue tra le cuticole, schegge affilate che dilaniano la carne: ho una pelle troppo sottile, non ci metteranno molto a stracciarla.
Lontano, le sue mani su di me, non posso sentirlo, i suoi occhi.

« He's already dead. Now it's your turn. »

Affondano le zanne sin dentro il mio cranio, i polmoni che si concedono una tregua dolorosa, un ustione che si muove lungo lo sterno - brucia da morire, ho l'odore del sangue attaccato sulla pelle, non riuscirò mai a liberarmene. Le loro dita, mani che premono contro il costato, ho le ossa talmente leggere - vorrei essere un uccello, le ossa cave e le ali da spiegare - un uccello ferito soffre in agonia, muore in trionfo.
Una fenice rinasce dalle proprie ceneri.

« Now you're here, it's ok »

Spina dorsale curvata sotto la forza di mani invisibili, forse sono ancora lì - io non posso vederli.
Una goccia - una sola - acqua trasparente, avvelenata di tutta l'angoscia che sento formicolare sulla pelle, ancora quel tanfo, non riesco a distinguere le voci.
Una goccia, non avevo mai pensato a quanto l'acqua potesse essere crudele: la pelle inizia a deformarsi sotto una pressione scostante, leggera tanto da erodere uno spazio tra le vertebre - atlante, la più testarda, sta cercando di resistere.

Ho perso le mie note, lui ha perso le sue: Dio, Grazie.
Niente più musica, non voglio più ascoltarne, mai più, ma adesso suona per me.
Un rumore graffiante, interferenze ai miei incubi - forse è meglio così, è meglio non addormentarsi, so che potrei non risvegliarmi più.

« Well, well, well.. »

Not again.
Se avessi delle dannate ali - sarebbero di cera, ma non importerebbe - potrei sferzare l'aria con le dita, pretendere dal cielo la luce che mi merito. Fioca, spenta, filtrata senza riguardo da un vetro sporco - un lucchetto ad impedirmi di uscire, le dita chiedono pietà.
Privata dei miei legamenti artificiali, mani e piedi hanno riconquistato la propria libertà: cauti, abbandonano la terra ferma, cercano di sferzare il vuoto esattamente come gli occhi cercano la mia luce.
Vermiglia, riesce a brillare al buio.

« Told you, sweetheart. Your turn. »

Pareti impregnate dalla puzza dell'angoscia - la mia non deve essere stato il primo: casa degli orrori di un parco divertimenti abbandonato, una testa scivola ai miei piedi, avrei preferito essere cieca.
Ho gli occhi aperti, e riesco a vedere il buio: lo spazio tra i polmoni risuona di un eco tachicardico, un rimbombare aritmico scandito dal pulsare del sangue - ero sicura di averne ancora, nelle vene.

« C'è da dire che ci voglia una certa perizia per fare un lavoro di.. »
« ... »
« A real deal. ..  No Alliance, Me ... Saint. »
« 'mn it »

Argento e topazio, non avrebbe potuto cercare meglio: molto più dell'oro dei miei capelli, molto più del rubino di tutto il sangue.
Posso sentire le liane dell'angoscia stringersi attorno al petto, cercano d'impedirmi di respirare. Sarebbe tutto più semplice, nessuno oggetto con cui essere scambiati, una vita per due vite, non c'è neanche bisogno di ragionarci: solo un pensiero - il mare ed un sorriso, poi il buio.
Un corridoio lungo kilometri, devo riuscire a catturare quella luce, ad imprigionarla negli occhi, a farla mia.

« Sempre che non sia lei ad imprigionare te. »
« Shut the fuck up. »

Polpastrelli che si aggrappano alla carta da parati - viene giù come fosse polvere, dannazione.
Non sono abbastanza stabile, scalza, rumore metallici.
Non sono passi umani, questo mi basta: ancora un metro, guarda la luce è lì che devi arrivare, ancora un metro.

Trentasette secondi.
Otto ottave.
Instrumental.

« Stop, stop, stop, stop.. »

Ho cercato di proteggere timpani e coclea, i palmi sanno essere meravigliose conchiglie: solo che non riesco a sentire il mare, neanche volendo.
Tre uomini, sei braccia: ne basta uno solo a portarmi via, due a legarmi alla sedia.
Polsi e caviglie costrette in una morsa soffocante, occhi chiari che fissano i miei, hanno delle mani troppo grandi, non chiederò mai perdono in tempo.

Basta solo un braccio a portarmi via, due mani e legarmi alla sedia.
Un uomo per sollevare un secchio, un altro per impedire che disobbedisca: conato dopo conato, posso sentire il sangue scorrere lungo l'esofago, transitare per lo stomaco, procedere verso l'intestino.
Treni scardinati fuori dai binari, non si muove lungo le vene, preferisce una via più rapida: Kevin mi tiene la bocca, Cello cerca di non farmi morire soffocata.
Non subito, almeno.

« Assicurati che lo beva tutto. »

Bastano dieci dita, una carezza possessiva che si arrampica su per il collo: involucro di nervi ed arterie, sento la spina dorsale sfregare contro i suoi polpastrelli, non voglio guardare gli occhi di un uomo che uccide, non voglio che siano l'ultima cosa che vedo.

« Sorry, Saint. »

Bastano dieci dita a recidere una vita sottile, senza radici e lontana, persa fin troppi anni fa dietro a delle polverine magiche, chiavi per i tuoi paradisi artificiali.
La sensazione di apnea mi è sempre stata familiare, avrei preferito morire vestita di bianco - il rosso non mi dona, ma forse sta bene tra i capelli, sulle labbra.
Sono sicura che al buio incontrerò i miei creatori, le braccia potranno trasformarsi in alberi - mi perderò tra le foglie, ma non potranno più spezzarmi le ali.

«  'Gene. Sei a Capital Ciy, e sei viva. Sei viva. »









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